Latte,
carne e lana.
La lettura del polittico é
suggerita partendo da sinistra, dove sono illustrate le attività connesse con
l'allevamento e la pastorizia, cardine un tempo della vita in Comelico.
L'allevamento intatti forniva le proteine indispensabili alla sopravvivenza e,
in subordine, quanto ricavato dalla lana e dalle pelli, per il riparo dal clima
severo della vallata.
In alto vacche frammiste a pecore e capre all'alpeggio; scendendo s'incontrano
le protagoniste della vita d'ogni giorno: le forti donne "comeliane".
Ve ne sono che portano la gerla colma di stallatico, altre recano terra per
rinsaldare i campi sui pendii, necessità immanente d'ogni primavera, quando in
"valle" non c'erano forze lavorative se non femminili essendo gli
uomini lontani per l'emigrazione. Altre donne sono sui campi di patate; altre
falciano e rastrellano il fieno, altre ancora lo portano sulla testa al casale.
Lo spaccato di una stalla consente la visione del mungitore che calza gli
speciali zoccoli, detti "tarale".
Venendo in primo piano, infine, s'incontrano alcuni artigiani intenti alle
attività tipiche dell'allevamento: uno sbatte il latte nella zangola casalinga,
per cavarne il burro; un secondo cuoce il siero per trarne formaggi e ricotte;
un terzo allestisce i tranci di maiale da riporre nella salamoia del mastello.
Verranno buoni durante l'inverno con le minestre d'orzo e di fagioli. Accanto,
quattro donne vestite di mezzalana, la camicia bianca con le maniche a sbuffo e
lo scialle nero in testa; la prima fila all'arcolaio "la roda da filà";
la seconda scardassa un grumo di lana; la terza cuce le babbucce di pezza; la
quarta carda della steppa di lino sullo strumento apposito detto "gramola".
In tutto il riquadro vi sono trenta figure.
L'amico
bosco.
Il bosco occupa da sempre una
posizione eminente nella vita del Comelico, fornendo alla popolazione il
materiale per la casa, il riscaldamento e la confezione dei cibi non solo, ma
altresì la merce di scambio con i viveri della pianura quassù assenti:
granaglie, vino, alimentari in genere, ed i manufatti più avanzati.
La scena che segue é dunque dedicata a questo primordiale importantissimo
elemento.
Lo spumeggiante torrente Padola, riconoscibile dallo sbarramento, noto come la
"stua", introduce i personaggi. Dalla briglia fuoriescono i tronchi
che operai specializzati arpionano con appositi uncini, per guidarli fra i sassi
e le secche, facendoli fluitare in direzione del Piave. Più in alto un colatoio
artificiale, la "risina", consente di trarre dal bosco i tronchi
scortecciati e già di misura convenzionale.
In basso due coniugi manovrano la grande sega a mano per predisporre i
tronchetti da ardere; di lato una segheria mostra nello spaccato come funzionava
il carrello che portava il tronco sotto la lama seghettata mossa dalla caduta dell'acqua.
In primo piano una sintesi di alcune lavorazioni domestiche: un uomo scava dal
tronco gli zoccoli ricurvi, che proteggeranno il piede dall'umido della stalla;
un'altro, usando sottili assicelle di nocciolo, intesse il gerlo, mentre alle
sue spalle avanza una donna che lo reca colmo di legna da ardere; nell'angolino
una bimbetta esibisce sussiegosa il suo gerlino... Appena più indietro un
artigiano, lavorando d'ascia, ricava i travi per le costruzioni; ed un carradore
sistema il pianale di un carretto rustico.
La vita nel bosco si sviluppa su ventidue figure.
La
stagione della neve.
La
neve, così lunga un tempo in Comelico, occupa la parte centrale del polittico.
La neve che aiuta i trasporti, che protegge le campagne: una neve amica, perché
propizia la vita al tepore delle baite, ma che obbliga a pesanti fatiche per
mantenere i contatti sociali. La neve, infine, attesa dai bambini per il gioco.
In alto un uomo guida uno slittone colmo di foraggio; sul lato opposto un altro
sale portando in spalla il veicolo vuoto; un terzo, più in basso, trasborda
legna incrociando uno più fortunato che la slitta del fieno la fa trainare dal
cavallo, seguito da chi usa invece i buoi per tirare lo slittone dei tronchi.
Al centro appare un fendineve, che una coppia di cavalli arrancanti trascina
avanti nel solco, seguito da una donna che collabora per tenere pulita dalla
neve la strada pubblica. Della scia appena tracciata approfitta un contadino per
portare a casa la legna; lui tra le stanghe, la moglie al traino con una corda
attorno alla spalla.
Su di un tetto una donna spala la neve per alleggerirlo; altri spalatori calzati
di uose, i "calzogn", aprono la strada al contadino che guida la manza
aggiogata alla slitta dei travi. Sull'angolino di destra un monello si lega alle
scarpe dei pattini (o forse corti sci) tratti da doghe di botte...
Il quadro della neve si sviluppa su sedici figure umane.
Il
tempo della migrazione
Piaga o risorsa del Comelico, a
seconda dei punti di vista, l'emigrazione stagionale é stata un fenomeno
peculiare di quest'angolo delle Dolomiti, diverso da ogni altra zona di
montagna. Lasciavano i paesi tutti assieme in autunno, terminata la raccolta dei
campi (rape, patate, orzo, segala...) per farvi ritorno nella stagione del
fieno, agli inizi dell'estate.
Gli uomini partivano organizzati così da dividere la spesa del trasporto dei
bagagli sino alla ferrovia di San Candido. Nel gruppo spesso entravano anche
donne, a volte con i bimbi in braccio.
Il quadro dell'emigrazione si sviluppa nella valle che sale al Monte Croce,
attraverso i paesi di Casada, Candide, Dosoledo e Padola. Il dialogo avviene tra
chi parte e chi resta; ed é quasi un segnale per l'ultima scena dedicata
appunto ai rimasti in valle".
In posizione centrale campeggia un carro agricolo colmo di zaini e bagagli
arrancante verso l'alto, seguito dal corteo degli emigranti, ognuno con il
proprio sacco di masserizie in spalla.
Gli uomini procedono salutando; una fanciulla intenta a sorvegliare una mucca al
pascolo, ed intanto continua a lavorare coi ferri un calzerotto, abbassa
pudicamente lo sguardo davanti al "moroso" che se ne va.
In primo piano un gruppetto di quattro: l'emigrante ritardatario che si affretta
con la valigia in mano; la massaia che porge il bimbo ad un ultimo bacio al
genitore; ai piedi un fanciullo, con le toppe sui calzoncini, esibisce la
fionda, suo unico tesoro.
La scena dell'emigrazione conta ventisei protagonisti.
I
rimasti in valle
Agli anziani, ai ragazzi ed alle
donne rimaste a casa é dedicato l'ultimo quadro idealmente saldato al
precedente dal vecchio che, appoggiandosi al bastone, ricorda la gioventù
perduta.
In alto si sgranano gli alti paesi del Comelico: Costa, Danta, Costalta, con
personaggi che scendono a San Pietro ed a Santo Stefano centri economici della
vallata. Sui sentieri arrancano lentamente le donne di ritorno dal mulino
cariche di farina sorretta sulla testa.
Sulla ripa del ruscello alcune lavandaie sciacquano nell'onda spumeggiante;
mentre altre stendono i panni del bucato sull'erba ad asciugare. Sul bordo
dell'acqua altre tirano a lucido secchi e vassoi in rame, usando la pastella di
farina gialla, aceto e sabbia sottile di fiume.
In posizione centrale un carro, giunto dalla pianura con le granaglie
d'importazione, incrocia emblematicamente un altro carico di assi d'abete e
lance che la raggiungerà. Prodotti della foresta contro frutti delle
"basse".
Accanto a loro, indifferente, cammina la postina di Danta con la sua bolgetta
gialla colma di posta. In primo piano appare uno stagnaro forestiero: in ogni
famiglia ci saranno un paiolo da rattoppare od un secchio da ristagnare; siede
intanto al panchetto il funaio intento a rinsaldare i rotoli di pelle.
Il mugnaio versa il gran saraceno nella tramoggia.
Sulla destra una fontana, forse quella canterina che ornava la piazza di Santo
Stefano, attorniata da alcune massaie. Una sbatte i panni sull'asse, l'altra
giunge ad attingere tenendosi stretto il pupo tra le braccia; infine una
vecchina in grembiule di mezzalana ed i secchi colmi d'acqua al giogo si
allontana...