Che sia un pittore friulano a decorare l’abside della chiesa di S. Nicolò in questo periodo non deve meravigliare, dati i continui rapporti commerciali e culturali (specie religiosi) intercorrenti allora tra le due regioni contigue, che appartenevano allo stesso Patriarcato di Aquileja. Pare che Gianfrancesco Del Zotto da Tolmezzo (questo è il suo nome completo) avesse già avuto dimestichezza con questi luoghi attraverso la presenza del suo conterraneo Domenico Mioni da Tolmezzo che, a Domegge, nel 1477-78 aveva affrescato l’abside della chiesa gotica di S. Giorgio precedente a quella ottocentesca attuale.
Per alcuni studiosi di Gianfrancesco la nostra abside sarebbe il primo lavoro noto dell’artista, ma per altri a quell’epoca (1482) il pittore tolmezzino, ormai trentenne, doveva avere già dato prova di sé, cominciando dalle sue parti e cioè a Barbeano di Spilimbergo (chiesa di S. Antonio Abate) e a Vivaro, nella parrocchiale, dove fino al 1820 si leggeva la scritta “ZA: FRANCESCO DA TOLMEZO 1482”.
Dopo il ciclo di S. Nicolò, Gianfrancesco eseguì la decorazione pittorica di altre absidi in chiese della Carnia e del Friuli pedemontano, affrescò facciate di palazzi a Pordenone ed eseguì anche pale d’altare, piccoli quadri devozionali e stendardi processionali.
Il ciclo di S. Nicolò segue lo schema iconografico che si era andato configurando proprio nel corso del Quattrocento con l’introduzione di nuovi temi devozionali e l’abbandono di alcuni legati all’antico testamento, pur conservando la tematica fondamentale della Redenzione dell’uomo e della sua Salvezza. Infatti il ciclo, rispettando una radicata tradizione, propone “in apertura” l’Annunciazione, momento primario del programma divino. Sull’estradosso dell’arcone a sinistra l’arcangelo Gabriele, in un abito dal ricco, elegante panneggio e dalla doppia cintura, porge un giglio e a destra Maria accoglie l’annuncio con lo sguardo abbassato. Purtroppo il colore del manto della Vergine, come tutti gli azzurri è “caduto”, trasformandosi nel tempo in un colore scuro che non rende giustizia alla tavolozza di Gianfrancesco.
Al sommo dell’arco c’è la figura di Dio Padre entro cornice circolare iridata a rappresentare il Cielo. Guidano lo sguardo verso Dio Padre una serie di putti dalle forme donatelliane, che reggono i simboli della Passione: un modo nuovo e delicato di rappresentare il sacrificio di Cristo, autore della Redenzione.
All’interno della volta sono figurati prima di tutto i Dottori della chiesa, massima autorità in fatto di interpretazione ortodossa della Parola, seduti in cattedra con i loro strumenti di lavoro: libri, penne, perfino occhiali (S. Girolamo).
Seguono gli Evangelisti rappresentati attraverso i loro simboli innalzati sopra il capo da angeli protesi. In terz’ordine i Profeti, annunciatori della venuta di Cristo; sono sette, rappresentati a due a due, più Davide, il re (coronato), che ha un posto privilegiato appena all’interno dell’arcone.
Negli spicchi a losanga che raccordano la volta con le pareti stanno quattro santi guerrieri, concreti difensori della fede: sono riconoscibili S. Giorgio che schiaccia il drago a destra e a sinistra S. Michele arcangelo, con il demonio sotto i suoi piedi.
Il tema centrale dell’iconografia si doveva riferire a episodi fondamentali della vita di Cristo. Qui la committenza scelse la nascita di Gesù, con l’Adorazione dei Pastori e l’Adorazione dei Magi, raffigurati rispettivamente nella lunetta grande di sinistra e in quella di destra, dove Gianfrancesco raggiunge uno dei momenti pittorici più belli di tutto il ciclo, adattando con sapienza modi più realistici alla rappresentazione dei Pastori e modi più “cortesi” alla raffigurazione dei Magi.
Nel registro inferiore del perimetro absidale vengono rappresentati gli Apostoli, compagni di Cristo e raccoglitori diretti della sua Parola, ospitati nel susseguirsi di archeggiature a tutto sesto, che, partendo dalla parete absidale di sinistra, continua sulla parete di fondo e sulla parete di destra. Le figure non sono tutte ben identificabili a causa del deterioramento della pittura, tranne le due di fondo (bellissime e perfettamente conservate perché indenni dallo scialbo subìto dalle altre) nelle quali si ravvisano S. Matteo a sinistra (ma altri dicono S. Giovanni) e S. Bartolomeo a destra. Ancora sulla parete di sinistra una coppia di Angeli affrontati che agitano turiboli, sempre con la bella veste a doppia cinta, protegge la custodia eucaristica (rifatta in tempi moderni).
Al programma teologico della venuta di Cristo portatore di Salvezza si aggiunge la devozione per i Santi, non solo i martiri e le martiri, che in genere sono quelli più popolari, il cui culto, risalente a tempi remoti è radicato nella tradizione, ma anche Santi più recenti come S. Rocco. Sono i santi protettori dai mali del corpo (S. Sebastiano, S. Rocco, S. Biagio, S. Lucia, S. Apollonia) o dai pericoli della vita (S. Nicolò, S. Barbara, S. Orsola, S. Maria Maddalena) e sono distribuiti sulla parete esterna dell’arcone, all’interno dei piedritti e nel sottarco.
Negli sguanci delle finestre a ogiva, riaperte nel 1951-52, rimangono una figura di Santo per parte: a sinistra un vescovo (S. Nicolò o San Gottardo) e a destra S. Girolamo con in mano un modellino di chiesa che la tradizione vuole sia la prima forma della chiesa di S. Nicolò.
Nella lunetta al centro dell’abside, sopra la finestra ad occhio centrale, è raffigurata la Madonna con il Bimbo in braccio. A sinistra e a destra si vedono due Santi cavalieri: S. Giorgio in atto di trafiggere il drago e S. Martino mentre taglia il mantello nel noto episodio di generosità verso il povero.
Le membrature architettoniche, i robusti costoloni, le chiavi di volta (quella centrale dell’abside porta l’effigie della “veronica” con impresso il volto di Cristo) sono sottolineate da cornici dipinte di varia natura, geometriche e floreali, e le riquadrature sono sottolineate da un vivace festone a tralci e viticci geometrizzati, con fiori molto colorati.
Il gusto decorativo riempie ogni spazio e ci fa rimpiangere i tempi in cui la vivezza dei colori e la completezza dell’affresco dovevano dare all’insieme un effetto strabiliante.