Comelico Cultura

 

Guida Trois

I quattro sentieri (trois), di importanza paesaggistica e culturale, fanno parte del museo diffuso Algudnei di Dosoledo, curato dal ‘Gruppo di Ricerche Culturali di Comelico Superiore’. Sul percorso complessivo di 8 Km sono posizionate 79 sculture lignee che descrivono 4 tematiche, le più significative della nostra tradizione.

 

SENTIERO DEI VECCHI MESTIERI
Troi di mistieri

 

Inaugurato nel 2006 il sentiero, dedicato ai vecchi mestieri, si snoda sull'antico percorso rurale che da Dosoledo scende al torrente per risalire a Padola.

Al totem: rappresenta i simboli più significativi di Dosoledo, quali il maestoso campanile, il matazin, la caratteristica schiera dei fienili ed il bue, appellativo degli abitanti di Dosoledo. La scultura è di Zandonella Golin Stefano.

Al carpentier: Il carpentiere è l'artigiano addetto alla costruzione delle case e dei fienili. Un tempo parte del legname necessario veniva fornito gratuitamente dalle Regole. De Lorenzo Tobolo Marco ritrae uno di loro.

Al sartu. Il sarto confezionava vestiti usando stoffe derivate da lino, canapa e lana prodotte in loco. Tessuti più pregiati venivano acquistati fuori valle e confezionati secondo l'eleganza e la moda corrente. Così ritrae De Lorenzo Buratta Avio.

Al marangon. Il falegname costruiva il mobilio spartano del tempo, posava pavimenti e serramenti, produceva gli attrezzi in legno, carri e slitte, zoccoli e tarali (simile allo zoccolo olandese) e qualche semplice giocattolo. L'opera è di D'Ambros De Francesco Andrea.

Al clonpär. Lo stagnino. Nella prima metà del 900 erano iscritti in Comune oltre 250 stagnini. Frequentavano stagionalmente l'Austria, la Svizzera, la Germania e l'Italia settentrionale. Imparavano le lingue e rientravano al paese con nuove esperienze e visioni, portandovi preziose risorse economiche. Gasperina Geroni Alberto è l'autore dell'opera.

Al pistor. Il panettiere. Il pane si faceva generalmente in casa. Nascevano all'inizio del 900 i primi panifici. La materia prima era la segala e l'orzo, coltivati in valle. Più tardi il pane di segala misto a frumento e, finalmente, il pane bianco col frumento che qui non matura. Lo scultore è Zandonella Necca Daniele.

L'osti. L'oste. Un tempo non mancavano le osterie, assidui e numerosi erano i clienti. Vino, grappa e pochi liquori venivano dalla pianura. Qualche volta si vendevano i campi e i boschi per onorare i debiti. Era un luogo di incontro, di discussione. Si conoscevano le ultime novità. Si giocava alle carte e alla morra. L'opera è di De Martin Topranin Fabiano.
 




 

Al mulné. Il mugnaio. Nel mulino si macinava la segala, l'orzo e le biade. In seguito anche il granoturco ed il frumento. Il mugnaio tratteneva una parte del macinato (la muldurä), quale suo compenso. Le semole nutrivano gli animali. Pazienti asini trasportavano i sacchi raccolti e restituiti ai clienti. Carbogno Erminio è lo scultore.

Fei deis. Costruire gerle. Abili artigiani fabbricavano eleganti gerle, ceste e canestri. Il vasellame, le ceramiche ed i vetri venivano da fuori. Sacco Proila Claudio così li ha interpretati.

Al muradó. Il muratore. Per ricostruire i paesi in muratura occorrevano molti muratori. Si usavano le pietre locali legate con sabbia impastata a calce. Cave di pietra, di sabbia, forni da calce e calcinai erano sparsi attorno ai paesi. Molti sono anche i muratori andati all’estero a lavorare. Qui il giovane Festini Cromer Giacomo alle prese con gli scalpelli.

Al scarper. Il calzolaio. Produceva gli zoccoli con la suola di legno e la tomaia in pelle, scarpe in cuoio ferrate per l'inverno (scarp da feru), ma anche scarpe più eleganti per tutti. Permanevano tuttavia le leggere calzature di pezza (i scarpeti) fatte in casa per tutti i giorni. Si andava spesso scalzi, per risparmiare. Autore: Festini Purlan Matteo.

Al bacan. Il contadino. Sul piccolo fienile, (al barcu), è rappresentato il contadino intento alla battitura della falce allo scopo di ripristinarne il filo. Per nutrire una mucca occorreva raccogliere 40 quintali di fieno all'anno tra primo e secondo taglio nei prati di fondo valle e il poco fieno ricavato nei prati di alta montagna. Opera di De Martin D'Orsola Luigi.

Al fauru. Il fabbro. Ogni paese aveva la contrada dei fabbri, costeggiata dal torrente che consentiva il funzionamento dei magli. Alcuni si accontentavano della sola forgia a carbone. La produzione andava dai chiodi alle artistiche ringhiere e serrature. L'incudine squillava ed il fumo anneriva il viso e i polmoni. Spesso era anche maniscalco. Opera di Zambelli Domelin Dino.

Al mulèta. L'arrotino. In primavera venivano dalla Carnia gli arrotini. Le loro grida richiamavano un codazzo di bambini, curiosi di veder affilare forbici, coltelli e roncole. La cassetta di legno a spalla, la vecchia bicicletta che adattava i pedali ad azionare la mola erano gli attrezzi del mestiere. Alla sera, restituiti gli utensili e contato il guadagno, cercavano una casa o un fienile dove trascorrere la notte. L'autore è l'allora ottantenne Zandonella Dino.

La stuä, era la diga ottocentesca usata per la fluitazione del legname verso Perarolo e poi a Venezia: uno dei pochi esempi europei superstiti. Qui finisce o inizia il percorso, riportando la sigla del Gruppo di Ricerche Culturali di Comelico Superiore e l'anno di allestimento del tracciato. È opera di De Martin D'Orsola Luigi.