Comelico Cultura    

Il Cadore e la Carnia alle fonti del Piave: questioni circa il «restringere e dilatare li Confini dell'una, e l'altra d'esse Prouincie»
A cura di Piergiorgio Cesco-Frare [da “Il Piave”, Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR), 2000, p. 211]  

Attorno al nodo idrografico del monte Peralba - o, meglio, di Sésis - donde ha origine il Piave, si agitarono nei secoli questioni confinarie che, se fondamentalmente riguardavano le proprietà silvo-pastorali delle locali comunità, nello stesso tempo però implicavano anche la delimitazione del territorio del Cadore verso le contermini regioni del Tirolo, della Carinzia e della Carnia. Già alcuni [per tutti: Fabbiani, 1979] hanno scritto sulla tormentata storia dei territori situati nel Tiroler Gailtal e nel Lesachtal, proprietà delle regole del Comelico sino al 1448. Fu in quest’anno, infatti, che si sanzionò in via definitiva l’appartenenza ai sudditi dei conti di Gorizia e del Tirolo e del vescovo di Bressanone dei montes o alpeggi esistenti «juxta flumen Zeiæ, incipiendo a fonte ipsius fluminis versus Carticium et tendendo usque ad quosdam montes Patriarchatus Aquilejensis in Districtus Carneæ» [“presso il fiume Zeglia, cominciando dalla sorgente dello stesso fiume verso Kartitsch e arrivando sino ai monti del Patriarcato di Aquileia nel Distretto di Carnia”]. Con ciò fu di fatto arretrato, dal corso della Gail alle cime dei monti, il confine settentrionale della Repubblica Veneta nel tratto che - detto in termini attuali - va dal monte Cavallino sino al monte Pietra Bianca, posto subito a nord del Peralba. Meno conosciuto, presso gli stessi studiosi, ci risulta invece essere l’antico assetto confinario tra Cadore e Carnia nella valle di Visdende e in quella di Sappada. Eppure, anche solo consultando l’antica cartografia, balza agli occhi, ad esempio, che la valle di Visdende - oggi interamente in Cadore - era in realtà, con la sua estremità orientale, anche in territorio di Carnia. Un esempio lampante ci è fornito dall’accurato Disegno del Cadorino del 1713 di F. Carli, nel quale la rappresentazione del Cadore ad oriente si arresta al Van Comun, ove è indicato il «confin con la Cargna». Occorre allora rifarsi alla storia delle montes (alpeggi) di Àntola, di Chivión, di Sésis - tutte situate entro il perimetro della valle di Visdende - nonché della Dìgola, posta a cavallo tra la valle di Sappada e quella del torrente Frisón in Comèlico. L’antica appartenenza alla “Provincia di Carnia” delle prime tre è documentata in maniera incontestabile. Ad Àntola si riferiscono due atti di compravendita del 1351 ed del 1362 con i quali il Comun d'Oltrarino acquista questa monte «iacentem in Carnea». Lo stesso Comune nel 1609 è esentato dalla Magnifica Comunità di Cadore dal pagamento di colte, ovvero imposte fondiarie, su detto alpeggio, in quanto esso è posto «nel Territorio di Cargnia». Nel 1725 infine, una controversia circa i confini occidentali di Àntola - controversia che, secondo le leggi cadorine, avrebbe dovuto trovare soluzione in ambito locale - è viceversa portata dinnanzi alla suprema magistratura veneziana della Quarantia del Civil Novo in quanto si tratta di «restringere e dilatare li Confini dell'una, e l'altra d'esse Prouincie», vale a dire tra Cadore e Carnia. Parimenti, il pascolo di Chivión - anticamente definito «Mons Ecclesiae Aquileiensis», «Mons Patriarchae Aquileiensis» - è indicato «in pertinenze di Cargna» in un documento del 1623. Quanto all’estensione della monte di Sésis, essa abbracciava tutto il  massiccio del Peralba, sia in versante sappadino che in quello comelicano, tanto che in due documenti del XVII secolo essa è indicata come confine meridionale di Chivión. Di più, un documento del 1505 colloca alcuni pascoli situati sulla sinistra orografica del Cordevole di Visdende, nella monte di Sésis «in Sappada» (ricordiamo che sino al 1853 Sappada fece parte della Carnia). Si può quindi affermare che tutto l’ampio bacino di raccolta, che alimenta i rii Oregone e Àntola, era territorio di Carnia sino a tempi recenti. Ad occidente esso era contenuto entro la linea costituita dai rii di Van Comun e di Villanaro, ma forse si spingeva più in là sino al rio di Val Mezzana [per un approfondimento vedi Cesco-Frare, 1993]. Non siamo in grado di documentare la data del passaggio all’attuale situazione, ma è lecito supporre che essa sia frutto delle riforme napoleoniche, che ridisegnarono le circoscrizioni amministrative. Per la continuazione di tale confine verso sud nella valle sappadina, ci soccorre una raccolta inedita di documenti [De Donà G., Dìvola, manoscritto in Biblioteca Cadorina di Vigo di Cadore], che trattano appunto una secolare disputa confinaria tra Sappada e Lorenzago, proprietaria quest’ultima della monte della Dìgola. Anche qui la contesa va oltre il fatto locale per investire il confine tra Carnia e Cadore, confine che - a dar credito a questi atti - era segnato da un pontile (steccato) posto a chiusura della tavella cioè dei prati all’estremità occidentale dell’abitato, e, di là dal Piave, dal rio Krummbach che i cadorini chiamavano Rin Bianco. Per concludere, il nodo idrografico costituito dalla antica monte di Sésis è appartenuto, almeno sino alla caduta della Serenissima, al distretto o provincia di Carnia e quindi al Friuli, del quale comunque anche il Cadore, come è noto, fece parte sin dai tempi più antichi.

Bibliografia

§         Cesco-Frare P., Angelini A. e Cason E. (a cura di), Oronimi Bellunesi:  Ampezzo - Auronzo - Comelico, Belluno 1993.
§        
Fabbiani G., I confini del Cadore verso la Zeglia (ted. Gailthal), in Archivio Storico di Belluno Feltre e Cadore, Anno L N. 226 pp. 31-42, Feltre 1979.