di
Piergiorgio
Cesco-Frare e
Carlo Mondini
Si
arricchisce sempre di più il quadro dei ritrovamenti delle antichissime
frequentazioni umane nella nostra provincia. Per fornirne un aggiornamento
cominciamo con le recenti ricerche che, operate congiuntamente da alcuni membri
dell’Associazione degli Amici del Museo di Belluno e della Fondazione G.
Angelini nell’area nord-orientale della provincia, finora poca indagata e
priva di testimonianze archeologiche preistoriche, hanno permesso di evidenziare
anche per questa zona tracce della presenza di cacciatori del periodo mesolitico.
Il fenomeno, che ha visto gruppi di cacciatori penetrare nell’arco alpino fra
i 9500 e i 6500 anni fa per battute di caccia stagionali, è ormai ben
conosciuto e studiato soprattutto nel territorio della provincia di Trento, ma
ora ben delineato anche in quella
di Belluno attraverso i ritrovamenti avvenuti nella conca di Mondevàl e negli
altri numerosi siti dislocati perlopiù nella parte nord-occidentale e centrale
dell’alta montagna bellunese, nei pressi di forcelle e passi dove questi
cacciatori erano soliti porre i loro bivacchi di avvistamento e di caccia per
sorprendere e uccidere i branchi di grossi erbivori.
Mancava ancora in questo panorama documentazione di frequentazioni mesolitiche nel comparto montano del Cadore centrale e del Comèlico, sino a che nel 1998 sui monti della valle di Visdende veniva fatta una prima scoperta di alcuni manufatti in selce di color marrone di tipologia mesolitica in località Coston della Spina (comune di S. Pietro di Cadore), a quota di 2085 m e 2050 m, presso un’area umida e in condizioni di passo (M. Catello, P. Cesco-Frare, A. Villabruna). Il sito è in posizione dominante a cavaliere tra le pale erbose che scendono ripidamente nella valle di Lòndo e l’ampia conca di prato-pascolo, ricca di acque ed erbe, che sta sopra la casera di Dignàs. Verso ovest l’ampia depressione del costone di Vissada racchiuso tra la cima dello Schiarón e la frastagliata crestina dolomitica dei Longerini. Ad est, oltre l’avancorpo calcareo della Cima Palombino, la lunga teoria di elevazioni erbose, costituite da antichissimi terreni scistoso-filladici della cresta di confine, sino alla gigantesca mole della Peralba di bianco calcare devoniano. Ai piedi la Valle di Visdende nereggiante di foreste, ma che ai tempi delle frequentazioni mesolitiche doveva probabilmente presentare sul fondo un ambiente fluvio-lacustre. Il sito, posto poco sopra il limite superiore del bosco, ben rappresenta l’ambiente tradizionalmente sfruttato dai cacciatori mesolitici i quali potevano così diversificare le loro azioni di caccia ad animali che vivevano nella foresta, come cervi e caprioli, e a quelli che stanziavano in aree prative e rocciose, come camosci e stambecchi.
Successivamente,
sotto la spinta dell’entusiasmo determinato da questo ritrovamento, sono state
condotte, con esito positivo, nuove prospezioni e ricerche nell’estate del
2000 lungo la dorsale Spina-Quaternà (comune di Comèlico Superiore). Questa
lunghissima giogaia è caratterizzata, nella sua parte settentrionale, da scure
rocce vulcaniche, mentre nel suo tratto meridionale la prateria alpina è
chiazzata da caratteristici affioramenti di conglomerati e arenarie di un colore
rosso intenso ed è costellata da una quindicina di minuscoli laghetti e pozze
d’acqua. Qui, a quota 2125 m, nei pressi di una selletta che mette in
comunicazione il vallone erboso che sale dal sottostante pascolo di Campóbon
(valle del torrente Pàdola) con un
valloncello che scende sull’altro versante verso la valle del torrente Digón,
è stato trovato un unico manufatto in selce marrone, comunque indicatore del
passaggio sul posto degli antichi cacciatori mesolitici (P. Bassanello, R. e U.
Casanova, M. De Zolt, N. e P. Cesco-Frare, C. e F. Mondini). Il tipo di selce
rinvenuto, non essendo presente in loco e neppure nelle vicinanze, risulta
indubbiamente raccolto e portato sul posto dagli antichi cacciatori mesolitici
che utilizzavano appunto questa pietra per produrre i propri strumenti di uso
quotidiano: lame per tagliare e macellare le prede, raschiatoi e grattatoi
per lavorare le pelli, bulini per incidere, armature geometriche per
costruire, in connessione con aste di legno, le armi da getto da scagliare
contro gli animali selvatici. Sembra molto probabile che la selce usata in
questo sito, come d'altronde quella ritrovata nell’altro bivacco mesolitico
del Coston della Spina di Visdende, provenga dalla Val Belluna dove esistono
affioramenti di questo tipo di materiale. Il reperto è stato individuato
immediatamente a nord della selletta, in prossimità di due pozze d’acqua e di
un rialzo pianeggiante che consente di tenere sotto osservazione entrambi i
versanti della dorsale e di spaziare con lo sguardo sulle crode del Popèra da
un lato e sui pascoli del Cavallino-Palombino dall’altro. Traguardando oltre
il passo del Palombino s’intravvede il punto sommitale dell’altra Spina,
quella di Visdende, ed è significativo il fatto che entrambe le località rechino
l’appellativo “spina”, il quale nel dialetto locale significa ‘crinale,
displuviale’ e indica una dorsale erbosa di moderata pendenza, uno dei terreni
di elezione dei cacciatori mesolitici per i loro appostamenti. I due siti
comelicani si trovano a poca distanza dal confine austriaco e rappresentano il
punto più avanzato della penetrazione mesolitica all’interno del territorio
bellunese. Essi si collegano a quelli non molto lontani, rinvenuti negli anni
1983 e 1985 dal dott. R. Lunz del Museo Archeologico di Bolzano a quota 1800 m
circa sul lato nord della grande torbiera - resto di un antico lago - esistente
nei pressi della malga Nèmes (comune di Sesto di Pusteria) già in area
alto-atesina.
Un’altra
fortunata scoperta (N. e P. Cesco-Frare, G. e M. De Zolt) è avvenuta sempre nel
corso dell’estate 2000 un po’ più a sud, nel Cadore centrale presso il Pian
dei Buoi (comune di Lozzo di Cadore). Il sito è posto su una forcella a quota
1800 m sulla cresta displuviale, che scende dal monte Ciarìdo verso il Col
Cervèra,
dove convergono le testate delle valli Longiarìn, Poórse e Campiviéi. La
forcella è attualmente circondata da pascolo, ma subito più in alto riprende
la vegetazione d’alto fusto. Nei pressi della sella, in versante ovest,
compare una zona acquitrinosa che fa pensare all’esistenza di un antico
laghetto. Sulla selletta sono stati raccolti alcuni manufatti in selce di
presumibile tipologia mesolitica, fra questi un nucleo in selce marrone a due
piani di preparazione opposti (blocchetto di selce dal quale venivano staccate
le schegge con cui fabbricare gli strumenti), lame e schegge sempre in selce
marrone e grigia che trova comune diffusione nel vallone bellunese.
I cacciatori mesolitici appostati su questa forcella, che ha come sfondo
il magnifico scenario naturale del gruppo delle Marmarole, potevano avvistare e
sorprendere i branchi di ungulati che vi transitavano considerando che dal luogo
lo sguardo si spinge a ponente verso il pascolo del Baión e a levante sul Pian
dei Buoi e la bella conca prativa dove sorgeva la Casera delle Pecore oggi
demolita. All’orizzonte, oltre la valle dell’Ansièi e sopra l’ampia
depressione di Passo Zovo, si staglia la linea dolcemente ondulata della Spina
di Comèlico Superiore, luogo del ritrovamento precedente.
L’attenzione
rivolta al territorio montano e alle sue prime presenze umane ha portato poi
alla scoperta di una nuova area di frequentazione di cacciatori mesolitici alle
falde del Monte Pelmo, dove già circa un decennio fa sulla sella paludosa a
quota 1980 denominata I Lac (comune di Zoldo Alto) si erano notate tracce di
bivacchi e raccolti strumenti in selce, ma eccezionalmente anche in diaspro, fra
cui alcuni geometrici triangolari che sembrano indicare nel Mesolitico antico (Sauveterriano,
9500-7800 anni dal presente) l’inquadramento cronologico del sito (C. Mondini,
A. Villabruna). A circa due chilometri in linea d'aria da questa località,
nei pressi del Rifugio Venezia (comune di Vodo di Cadore), nel mese di agosto
2000 sono stati rinvenuti (N. e P. Cesco-Frare ) alcuni manufatti in selce su
una larga e piatta sella prativa, posta a una quota di 1950 m tra la testata
della valle di Rutorto e la testata della valle Ru de Àssola, in ambiente di
tipo umido con depressioni e antiche pozze ora intorbate, che si configura come
il classico luogo sfruttato dagli intraprendenti cacciatori mesolitici per
sistemare i loro accampamenti stagionali. A occidente, poco più alto
sull'orizzonte, appare il bordo del ripiano de I Lac con la Civetta sullo
sfondo. A oriente si staglia la perfetta piramide dell'Antelao. A nord incombe
maestoso il “caregón” del Pelmo.
A
questi ritrovamenti nell’area cadorina si aggiungono infine due nuovi siti
individuati l'ottobre scorso nell'Agordino, entrambi nel gruppo della Civetta.
Il primo è situato non distante dal Rifugio Vazzolèr nel pianoro prativo del
Col del Camp, pertinenza della Casera Pelsa in comune di Taibon Agordino, ed ha
reso una lamella di selce marrone rinvenuta a quota 1840 ca. (N. e P.
Cesco-Frare). Il bel pascolo è posto ai piedi della lunga dorsale erbosa del
Mont Alt de Pelsa, dalla quale è separato da una larga fascia di mughi, e
protende sulla testata della Val del Foram una collinetta che si affaccia sul
grandioso anfiteatro di crode circhi canaloni ghiaioni dagli arcaici nomi
pastorali di Pelsa, Busazza, Moiazza, Cantoni. In primo piano uno dei simboli
dell’alpinismo moderno: la Torre Venezia.
Valicata
la Sella di Pelsa il secondo sito è stato scoperto a Pian de la Lóra (comune
di Alleghe). Qui a quota 1930 ca. sono stati rinvenuti una quindicina di
manufatti in selce grigia, marrone e nocciola la cui qualità sembra ricadere
nei litotipi comuni nella Val Belluna, così da desumere come tale l’area di
approvvigionamento del prezioso
minerale da parte dei cacciatori mesolitici che frequentarono per battute di
caccia l’area sud-occidentale del gruppo della Civetta. Fra i reperti figurano
anche alcune lame ritoccate oltre a schegge e lame senza tracce di ritocco.
L’ubicazione del ritrovamento, in area piuttosto concentrata e in posizione
dominante su un sottostante laghetto dove potevano abbeverarsi i grossi
erbivori, lascia pensare ad un sito utilizzato come bivacco o punto di
avvistamento per la caccia. A proposito di questo piccolo lago, la sua esistenza
è condizionata da un singolare fenomeno dovuto alla presenza
tra le zolle erbose di una lóra ‘imbuto’
cioè di un inghiottitoio carsico in cui si sperdono assai
lentamente le acque raccolte nella conca, la quale, ad ogni pioggia un po'
abbondante, viene completamente sommersa.. Alzando lo sguardo dal piccolo bacino
l’occhio si spinge sino al Col Rean col Rifugio Tissi e alla sottostante
forcella. Di fronte, la grande muraglia della Civetta s'innalza verso il cielo.
E,
per restare nell’Agordino, va segnalato anche un ritrovamento ad opera di Roberto
Zandò di Treviso, il quale, durante un’escursione, ha raccolto un piccolo
nucleo di selce in cui si individuano chiaramente le impronte di scheggiatura
operate per produrre manufatti laminari; il reperto, di probabile tipologia
mesolitica, viene dai pressi di Forcella Cesurette (1801 m di quota), ampia
depressione erbosa tra la valle di San Lucano (comune di Taibon Agordino) e Garés
(comune di Canale d’Àgordo). La
considerazione che si può trarre da tutte queste recenti scoperte è che il
quadro geografico degli spostamenti e della diffusione degli antichi cacciatori
preistorici nella montagna bellunese risulta notevolmente allargato,
corroborando l’ipotesi che la conoscenza del territorio, da parte di questi
nostri antichissimi predecessori sui monti, fosse estremamente profonda ed
estesa.
Piergiorgio
Cesco-Frare
Fondazione G. Angelini - Belluno
Carlo
Mondini
Associazione amici del Museo di Belluno